Iraqi Civil Society Solidarity Initiative

L'iniziativa internazionale in solidarietà alla società civile irachena mira, attraverso concreti legami di solidarietà tra la società civile irachena e quella internazionale, a creare un Iraq di pace e diritti umani per tutte e tutti

Stop alle guerre dell’acqua: dighe e infrastrutture essenziali non siano armi di guerra

Save the Tigris Campaign

Save The Tigris condanna fermamente l’invasione del presidente Putin in Ucraina. Siamo solidali con il popolo ucraino e con i russi che si oppongono alla guerra. Sosteniamo il diritto di tutti i popoli all’autodeterminazione e ci opponiamo a tutti i tipi di imperialismo – qualunque sia la loro origine nazionale o istituzionale – che cercano di negare questo diritto con mezzi militari, politici ed economici. Come coalizione che lavora in solidarietà con coloro che sono stati colpiti dall’invasione statunitense dell’Iraq e dalla guerra attualmente in corso della Turchia contro i curdi, abbiamo esperienza diretta nell’affrontare le devastanti conseguenze delle guerre imperialiste. I nostri pensieri vanno a coloro che, in risposta a quest’ultima manifestazione delle aggressioni imperialiste, sono stati costretti a fuggire dalle loro case a Kiev, Mariupol e altre città ucraine.

Condanniamo fermamente l’attacco alle infrastrutture civili essenziali e il loro uso come arma da parte degli attori coinvolti nella guerra, per i gravi rischi umanitari e ambientali che ne possono derivare.

Centrali nucleari e termiche, gasdotti, grandi serbatoi di petrolio sono stati presi di mira, sequestrati o distrutti dall’inizio dell’invasione il 24 febbraio 2022. Facendo eco all’appello dell’Environmental Peacebuilding Association, chiediamo alla comunità internazionale di mobilitare i mezzi finanziari e le competenze tecniche per una rapida valutazione ambientale da remoto del conflitto; di sostenere gli sforzi locali per identificare e monitorare i danni e i pericoli ambientali legati al conflitto e di fornire formazione per risolvere e prevenire ulteriori danni.  

Il danneggiamento di uno qualsiasi dei tipi di infrastrutture sopra citati avrebbe gravi conseguenze umanitarie e ambientali. Fin dalla nostra nascita, Save the Tigris ha condotto una campagna in particolare contro l’uso dell’acqua come arma. Siamo quindi particolarmente preoccupati dai tentativi di prendere di mira le infrastrutture idriche e usarle come arma nel conflitto ucraino.

  1. Il primo giorno le truppe russe hanno tentato di prendere il controllo della diga idroelettrica di Kiev sul fiume Dnieper, che è stata riconquistata dall’esercito ucraino durante la notte del 25 febbraio. Il Ministero delle Infrastrutture ucraino ha detto in seguito che un missile russo è stato abbattuto il 26 febbraio mentre si dirigeva verso la diga del vasto bacino che Kiev. Secondo Censor.net: “Se la diga di Kiev dovesse crollare, per un effetto domino le dighe di Kaniv, Kremenchuk e altre crollerebbero a loro volta, il che, a sua volta, potrebbe anche portare a un incidente alla centrale nucleare di Zaporizhzhya. Inoltre, il crollo della diga di Kiev porterebbe alla distruzione di Obolon, Podil e di tutta la riva sinistra della città di Kiev. Le inondazioni distruggerebbero ponti e comunicazioni, lasciando le zone senza elettricità, acqua e trasporti”.
  2. Durante la prima settimana di invasione l’esercito russo ha occupato la diga idroelettrica di Kakhovka sulla parte inferiore del fiume Dnepr, mentre le truppe ucraine hanno fortificato le restanti dighe della cascata del Dnepr per evitare che cadessero nelle mani dell’esercito russo. I militari russi hanno accusato ripetutamente l’altra parte di “prepararsi a far esplodere” dighe e argini, rivelando così forse le loro stesse intenzioni. Una delle prime azioni che le forze russe hanno intrapreso dall’invasione dell’Ucraina è stata quella di far saltare una diga sul Canale della Crimea settentrionale, permettendo all’acqua di tornare a scorrere in Crimea, e nonostante alcuni accademici si siano affrettati a sostenere che quest’acqua era necessaria per lo sviluppo dell’agricoltura intensiva in quella penisola, riprenderne il controllo in un modo così violento non può essere giustificato.
  3. Alla fine di febbraio è stata fatta saltare in aria una diga lungo il bacino di Kiev, che impediva l’inondazione della bassa valle del fiume Irpin. In due settimane l’acqua ha coperto una lunga fascia di terra a nord di Kiev. L’insediamento Demydiv nella valle del fiume Irpin è a rischio di inondazione. A metà marzo l’acqua ha già raggiunto i cortili di alcune case, riferiscono gli abitanti. L’innalzamento del livello dell’acqua potrebbe causare l’allagamento di strade e scantinati, che ostacolerebbe l’evacuazione dei civili e l’arrivo degli aiuti umanitari. Le parti in guerra si accusano l’un l’altra dell’esplosione della diga, mentre gli analisti militari sottolineano che questo potrebbe aumentare le capacità di difesa delle truppe che proteggono Kiev.

Due immagini satellitari mostrano la valle del fiume Irpin e il bacino di Kiev prima e dopo l’inondazione causata dall’esplosione della diga. (La diga del bacino di Kiev nell’angolo in basso a destra).

Secondo gli esperti, in tempo di guerra ci sono pochi elementi di infrastruttura strategica più importanti delle dighe idroelettriche. Sono essenziali per due delle tre componenti centrali per lo sviluppo nella maggior parte dei paesi: l’energia e l’acqua. La minaccia della distruzione di una diga preoccupa l’intera popolazione che a valle e nelle città usufruisce dei suoi servizi. Per questo motivo, le dighe sono state ferocemente prese di mira in guerra più e più volte nel corso della storia.

Storicamente, il danno maggiore è stato subito dalla “guerra idrica” durante la guerra sino-giapponese nel 1938. Per fermare l’avanzata giapponese nella Cina occidentale e meridionale, Chiang Kai-shek decise di aprire le dighe (argini) sul fiume Giallo vicino a Zhengzhou. La storia ufficiale della guerra stima i morti nell’inondazione a 900.000 e il numero di rifugiati a quasi 10 milioni, mentre gli studiosi moderni danno cifre inferiori: 500.000 morti e 3 milioni di rifugiati, dove la maggior parte delle vittime furono abitanti di villaggi cinesi che non poterono sfuggire all’inondazione.

Il secondo più devastante esempio di “guerra idrica” avvenne sul fiume Dnepr nell’agosto 1941. Mentre le truppe tedesche naziste spazzavano l’Ucraina dell’era sovietica, la polizia segreta di Josef Stalin fece esplodere una diga idroelettrica “DneproGES” nella città di Zaporizhzhya per rallentare l’avanzata nemica. L’esplosione inondò i villaggi lungo le rive del fiume Dnepr, uccidendo migliaia di civili e militari di entrambe le parti del conflitto. Le stime delle perdite umane variano drammaticamente da 5000 a 100 000 persone.

In tempi più recenti, in Iraq e in Siria, l’ISIS ha sistematicamente usato l’acqua come arma di guerra. Ha prosciugato aree a valle (la diga dell’Eufrate a Ramadi nel 2015); inondato aree per costringere gli abitanti a lasciare le proprie case (una diga vicino a Falluja nel 2014); usato l’acqua raccolta per dirottare gli attacchi (Falluja nel 2014) e contaminato l’acqua con il petrolio greggio (a sud di Tikrit nel 2014). Infine, nel gennaio 2022 il New York Times ha rivelato che la diga Tabqa, la più grande sull’Eufrate in territorio siriano, avrebbe dovuto essere, durante la guerra guidata dagli Stati Uniti contro lo Stato Islamico, una zona in cui i bombardamenti erano proibiti, nonostante ciò nel marzo 2017, il Pentagono l’ha bombardata, mettendo a rischio la vita di decine di migliaia di civili. Il disastro è stato in gran parte evitato dal personale della centrale idroelettrica che ha rischiato la propria vita – in alcuni casi anche fino alle sue estreme conseguenze – ma ha di fatto impedito lo straripamento della diga.

La Turchia ha anche usato l’acqua come arma nel suo lungo conflitto con i curdi. Le milizie sostenute dai turchi hanno deliberatamente tagliato le forniture d’acqua alle 500.000 persone che vivono nel governatorato di al-Hasakeh, con gravi conseguenze per la vita e i mezzi di sussistenza della popolazione locale. I problemi sono stati esacerbati dalle ripetute violazioni da parte della Turchia dei suoi obblighi di diritto internazionale consuetudinario di assicurare adeguati flussi a valle del fiume Eufrate, che condivide con Siria e Iraq. A causa della costruzione di dighe e sistemi di irrigazione in Turchia, il flusso a valle del fiume è stato ridotto del 40-45 per cento dall’inizio degli anni ’70, e la Turchia ha deliberatamente usato la sua capacità di stoccaggio per esercitare pressione sui suoi vicini fluviali, in particolare in tempi di conflitto.

Mentre la valutazione degli impatti specifici del crollo di una data diga può variare, c’è un consenso diffuso sul fatto che secondo le moderne “regole di guerra” si dovrebbe evitare di colpire tali strutture a causa delle potenziali conseguenze disastrose per la popolazione e l’ambiente. Queste strutture infatti forniscono servizi essenziali alla popolazione e in caso di crolli possono causare gravissimi danni e molte vittime tra i residenti. Per questo motivo la prospettiva di un aumento dei tentativi di utilizzare le infrastrutture idriche come strumenti per causare danni all’avversario dovrebbe essere condannata e proibita. Il risultato di tali azioni non è tanto quello di minare la capacità militare dell’avversario, quanto invece di mettere sproporzionatamente a rischio la popolazione civile, che dipende dai servizi forniti da quelle dighe ed è seriamente minacciata se le dighe vengono distrutte e danneggiate durante l’azione militare.

Crediamo fermamente che la “guerra idrica” in qualsiasi sua forma, così come il prendere di mira le centrali nucleari, i grandi impianti petroliferi e i gasdotti, dovrebbe essere considerata un crimine di guerra, indipendentemente dalle intenzioni della parte al conflitto che ne fa uso. Le infrastrutture idriche ed energetiche essenziali dovrebbero essere escluse dall’azione militare.

D’altro canto, visto che attività militari vengono regolarmente condotte nelle aree civili, i governi delle regioni potenzialmente a rischio dovrebbero considerare attentamente la vulnerabilità delle dighe e di altre grandi infrastrutture e scegliere piuttosto progetti tecnologici di infrastrutture civili meno vulnerabili, più resilienti e spesso più decentralizzati. Per esempio, l’Ucraina prima della guerra stava progettando una mezza dozzina di grandi dighe, il governo del dopoguerra potrebbe rivedere quei piani alla luce degli attuali avvenimenti. Allo stesso modo, i vasti piani per le grandi dighe nel bacino del fiume Tigri promossi dal governo centrale dell’Iraq e da quello del Kurdistan iracheno dovrebbero essere rivisti prendendo in considerazione non solo l’inefficienza dei bacini in un contesto di clima secco e le loro terribili conseguenze ambientali, ma anche le vulnerabilità di sviluppo aggiuntive dovute ai rischi di guerra e agli atti terroristici.