Elezioni anticipate del 10 ottobre
Le prospettive dalla società civile irachena
Per comprenderne le radici e le dinamiche delle elezioni anticipate del 10 ottobre 2021 in Iraq, è necessario non solo conoscere gli aspetti geopolitici e istituzionali del paese, ma l’evoluzione dei movimenti sociali iracheni, le reazioni e il ruolo della società civile locale.
Un Ponte Per (UPP) e l’Iraqi Civil Society Solidarity Initiative (ICSSI) hanno riunito le rilevazioni ottenute attraverso un dialogo costante intrapreso con i propri partner iracheni, allo scopo di diffonderne le prospettive sul sistema elettorale e sulla situazione politica nel paese, poiché vengano prese in considerazione da parte di coloro che si dedicheranno a riportare gli avvenimenti legati alle elezioni in Iraq.
Le elezioni anticipate sono state convocate in risposta alla richiesta del movimento di protesta dell’ottobre 2019, ma il processo elettorale è stato guidato dalle forze istituzionali tradizionali e caratterizzato dalla presenza delle forze armate e da continue intimidazioni nei confronti degli attivisti/e e delle nuove forze di opposizione. Tale condizione ha generato una reazione di boicottaggio di massa, che lascerà la sua impronta sui risultati delle elezioni, a rischio di avvantaggiare le stesse forze tradizionali. Infatti, ampie fasce della popolazione si stanno orientando all’astensione di protesta, guidata da una profonda sfiducia nel sistema istituzionale tradizionale. Alcuni partiti hanno invece scelto una strategia di boicottaggio politico, accusando le iniquità del sistema, le violenze e le intimidazioni cui sono sottoposti i loro candidati e candidate.
Al tempo stesso, e a riconoscimento del valore della garanzia di trasparenza ed equità nei processi democratici, centinaia di organizzazioni della società civile irachena si sono mobilitate strutturando ampie reti di monitoraggio elettorale mirate, se non a impedire le probabili violazioni, a fare in modo che esse siano rilevate e rese pubbliche. Svantaggiate sul piano istituzionale e trascurate a livello internazionale, tali reti costituiscono invece una risorsa per l’analisi dell’andamento delle elezioni nella complessità del contesto iracheno.
Elementi per comprendere la complessità delle elezioni e le prospettive della società civile irachena
- Le rivolte del 2019 e la richiesta di elezioni anticipate
L’ottobre 2019 segna l’inizio di una serie di eventi che resteranno nella storia dell’Iraq. Il crescente malcontento generale della popolazione irachena ha portato alle prime ondate di manifestazioni di giovani, a cui si sono unite persone di ogni fascia di età ed estrazione sociale, che si sono riversate nelle strade di tutto il Paese chiedendo un generale cambiamento, prima di tutto di tipo politico. Le motivazioni che hanno portato alla rivolta riguardano un sistema politico caratterizzato da corruzione, alto tasso di disoccupazione, povertà, mancanza di sicurezza e servizi pubblici, cui i manifestanti hanno contrapposto la richiesta di giustizia, uguaglianza, meritocrazia, la fine del settarismo e il rinnovamento della classe politica.
Tutto è iniziato in piazza Tahrir, nel mezzo di Baghdad, dove la rivolta è diventata sempre più significativa diffondendosi poi nel resto del paese. L’anno successivo una nuova ondata di manifestanti è scesa nuovamente in piazza con una migliore organizzazione e miglior coordinamento, facendo pressioni per richieste più specifiche: elezioni anticipate, una nuova legge elettorale, riforma del sistema politico, riforme economiche e anche lo scioglimento delle potenti fazioni politiche e delle loro milizie. La risposta del governo, accompagnata dalla reazione delle forze armate informali, è stata la repressione violenta, l’uso illegale della forza, uccisioni e rapimenti. Dopo il primo mese di brutale violenza e spargimento di sangue, i manifestanti hanno chiesto le dimissioni del Primo Ministro Adel Abdul Mahdi.
La radice del problema risiede in gran parte nel sistema politico imposto all’Iraq dall’alleanza guidata dagli Stati Uniti nel 2003, che ha alimentato la concezione settaria della popolazione divisa tra sciiti, sunniti, curdi. Oltre a isolare la maggioranza degli iracheni che hanno una visione unificata dell’identità del paese, queste divisioni hanno isolato anche i cristiani, gli yazidi, i mandei e altre minoranze, escluse dai processi sociali e politici. Dalle proteste, invece, è emerso un senso di unità nazionale che si traduce nella rivendicazione di un Iraq indipendente. Infatti, i manifestanti chiedono un governo autonomo dall’intervento di potenze estere, e innanzitutto sia dall’Iran, sia dagli Stati Uniti.
Dopo la proposta di vari nominativi e un periodo di acceso dibattito politico, in cui hanno avuto una voce anche i manifestanti, Mustafa Al-Kadhimi è stato nominato nuovo Primo Ministro. Tuttavia, questo governo è considerato transitorio e ha l’obiettivo di assicurare elezioni democratiche anticipate libere ed eque – a differenza delle precedenti elezioni del 2018, macchiate da corruzione e brogli. Le nuove elezioni, inizialmente previste per il 6 giugno 2021, sono state rinviate al 10 ottobre, grazie agli sforzi dei partecipanti alla rivolta proprio nel tentativo di creare le condizioni per maggiore trasparenza ed equità.
Alcuni attivisti e manifestanti iracheni affermano che un movimento popolare creerebbe una vera opposizione nel parlamento iracheno. Il cambiamento sarebbe influenzato non solo scendendo in piazza, ma anche formando un movimento interno al parlamento senza alcuna distinzione religiosa, settaria o nazionale.
È in quest’ottica che, dalle piazze della protesta, sono emersi diversi attori in tutto il paese, alcuni dei quali si sono costituiti in veri e propri partiti, mentre altri rappresentano movimenti sociali che spingono per cambiamenti politici. Ciò non è comunque facile visto il potere economico e militare dei vertici contrari al cambiamento e le intimidazioni e le violenze nei confronti degli attivisti.
- Persecuzioni di attivisti, manifestanti, giornalisti e candidati: la violenza nel sistema politico.
Le proteste scatenate a ottobre 2019 sono state arene di espressione politica per tanti giovani attivisti ed attiviste; purtroppo, sono stati anche scenari di orrore, per le dure persecuzioni subite da attivisti e manifestanti. Il Gulf Center for Human Rights (GCHR) da gennaio del 2020 ha pubblicato ben 18 report che documentano la situazione dei diritti umani in Iraq, raccontando di difensori dei diritti umani, giornalisti ed attivisti presi di mira, soggetti a intimidazioni e attacchi contro la persona per opprimerne la libertà di espressione e protesta; contro di essi le forze di sicurezza e le milizie affiliate ai partiti tradizionali hanno sistematicamente ecceduto nell’uso della forza, tant’è che dall’inizio delle proteste sono stati uccise oltre 600 persone tra manifestanti, giornalisti ed attivisti, 20mila sono stati i feriti, altri sono scomparsi. La presenza minacciosa delle milizie, gruppi armati connessi ai partiti tradizionali dell’establishment iracheno, è stata anch’essa denunciata nel corso delle proteste, moltiplicando le ritorsioni, la violenza e le repressioni.
In questo scenario, i candidati e le candidate nuovi ed indipendenti hanno subìto minacce e ritorsioni continue affinché lasciassero la corsa elettorale, spianando così la strada ai partiti tradizionali. Alcuni di essi sono stati costretti a fuggire dalle proprie città e a rielaborare la propria azione politica, in un clima politico in cui l’emersione di voci che chiedono coesione nazionale in contrasto ai sistemi di interesse locali, viene sistematicamente soggetta a repressione.
L’ultimo report del GCHR è consultabile qui.
- Le nuove forze politiche: una coalizione di opposizione
Le nuove forze politiche sono emerse dalle proteste in modo frammentato e spontaneo. È tuttavia nascente il progetto politico di creare una coalizione di opposizione, composta appunto da tali gruppi politici nati dalla Thawra Tishreen, la rivoluzione di ottobre, e il partito comunista iracheno. Tra i gruppi e movimenti delle proteste, Bayt al-Watani (National House) è quello che ha coordinato i primi passi di questa coalizione, con una prima conferenza svoltasi a settembre, e in cui si sono riuniti tutti i gruppi politici di opposizione. Questi condividono la scelta del boicottaggio politico delle elezioni, sperando strategicamente di riuscire attraverso ad ottenere attenzione politica verso la comune richiesta di accountability da parte del governo iracheno per le violenze, il monitoraggio dell’effettiva applicazione della legge e il supporto alle proteste pacifiche e nonviolente.
- Il boicottaggio delle elezioni
All’avvicinarsi della data prestabilita per le elezioni parlamentari anticipate, l’orizzonte politico iracheno si presenta tutt’altro che limpido. Diversi attori della scena sociopolitica irachena invitano a gran voce al boicottaggio. La dinamica del boicottaggio delle elezioni in Iraq si declina in due dimensioni distinte, sebbene interconnesse: il boicottaggio popolare e il boicottaggio politico. Il boicottaggio popolare, si riferisce al rifiuto del voto e all’astensione di protesta, oggi abbracciato da un’ampia parte della cittadinanza irachena, e promosso anche da partiti e organizzazioni della società civile. Proprio le persone che, dall’ottobre del 2019, sono scese per le strade delle principali città irachene sostenendo la richiesta di elezioni anticipate, oggi prendono parte al boicottaggio popolare denunciando la mancanza delle condizioni di base necessarie per lo svolgimento dell’intero processo elettorale in modalità eque e trasparenti. Sono persone che hanno deciso di boicottare le elezioni per sfiducia in un sistema politico considerato corrotto, responsabile della crisi in corso nel paese e connivente con gruppi armati che agiscono liberamente in tutto il territorio. Proprio l’impunità per gli episodi di violenza, le minacce, i rapimenti e le uccisioni ai danni di esponenti di movimenti politici emergenti e attivisti/e è alla base della scelta di molti cittadini e cittadine irachene di non recarsi al voto. Per alcuni, il boicottaggio è segno della sfiducia nei confronti delle istituzioni che dilaga nel paese, per altri è una modalità per dare voce alla richiesta che venga fatta giustizia per le violazioni dei diritti umani e le violenze perpetrate impunemente da gruppi armati in tutto l’Iraq, sotto agli occhi di un sistema politico considerato troppo silente; è, infine, una denuncia della mancanza di libertà di espressione e di partecipazione politica.
Parallelamente, si è sviluppato in questi mesi il boicottaggio politico, ovvero la scelta di alcuni partiti di non prendere parte alle elezioni di ottobre, con l’obiettivo di delegittimarle. I primi a decidere di non correre per le elezioni parlamentari sono stati i movimenti e gruppi politici che si presentano come i rappresentanti delle piazze e degli interessi dei manifestanti, emersi negli ultimi due anni. L’uccisione dell’attivista Jawad al-Wazni a Karbala, a luglio 2021, è stata sicuramente determinante nella scelta di strategia politica da adottare. A questi attori, minori sia per la loro recente formazione che per dimensione di elettorato, si sono aggiunti alcuni partiti centrali per la storia politica irachena: il partito comunista e il movimento sadrista, guidato da Muqtada al-Sadr. Quest’ultimo, dopo aver proclamato il boicottaggio per ragioni diverse, ha ribaltato la propria posizione nell’agosto 2021, annunciando che il partito sciita avrebbe partecipato alle elezioni, contrariamente a quanto affermato un mese prima.
Le ragioni dietro il boicottaggio politico da parte delle nuove forze emerse dalle proteste risiedono innanzitutto nella denuncia della violazione della propria di libertà di opposizione ed espressione, in un sistema politico considerato incapace di – se non consciamente disinteressato a – agire di fronte alla violenza efferata delle milizie armate che coinvolge l’intero paese. Le ragioni risiedono poi nell’opposizione alla nuova legge elettorale, considerata favorevole proprio per quei partiti locali legati a dinamiche tribali e alle milizie, piuttosto che alle forze politiche di orizzonte nazionale. Attraverso il boicottaggio, essi speravano di ottenere la posticipazione delle elezioni, e ottenere il rispetto di alcune richieste considerate requisiti fondamentali per la democraticità del processo elettorale, tra cui lo scioglimento per incostituzionalità dei gruppi armati legati ai partiti tradizionali.
- La nuova legge elettorale
Tra le richieste emerse dalle piazze vi è stata quella di ottenere una legge elettorale più rappresentativa. Lo strapotere dei partiti più grandi impedisce di fatto l’entrata in parlamento di candidati indipendenti o l’affacciarsi sul panorama politico di partiti nuovi o a carattere nazionale.
La nuova legge elettorale sostituisce a calcoli complessi un sistema di maggioranza assoluta (vince chi ottiene più voti); il voto viene espresso per il singolo/a candidato/a, mentre prima era espresso per liste o partiti. Per quanto dirette a ostacolare il predominio dell’establishment iracheno, così concepite le nuove procedure di nomina individuale stanno tuttavia generando una maggiore esposizione dei candidati a rischi per la propria sicurezza personale, limitandone la libertà di espressione.
Un’altra modifica sostanziale nata in risposta alle richieste dei manifestanti è l’aumento dei distretti elettorali, passati da 18 (numero totale dei governatorati iracheni) a ben 83, pari al numero di seggi occupati da donne nel parlamento iracheno (circa il 25% dei 329 seggi). La delimitazione dei distretti fa però molto discutere: se l’obiettivo dalle piazze era garantire la rappresentanza diretta dell’elettorato, nel concreto realizza meccanismi di gerrymandering e vote disenfranchisement. Caso eclatante sono i distretti nel governatorato di Al Anbar, che includono territori distanti tra loro centinaia di km per unire gli appartenenti ad un unico clan, garantendo così il voto per formazioni politiche a carattere settario. Infine, i meccanismi antifrode come la verifica biometrica sono ad oggi di uso facoltativo, e ciascun governatorato gestisce le pratiche elettorali secondo un proprio sistema locale, rendendo il processo vulnerabile alle manipolazioni.
- Gli attori della società civile nel monitoraggio elettorale: un ruolo sostanziale.
Il monitoraggio delle elezioni è considerato uno strumento di garanzia fondamentale del processo elettorale anche da parte della società civile irachena. Numerose organizzazioni locali da mesi hanno mobilitato le proprie risorse, costituendo un fronte eterogeneo mirato a rilevare e riportare inefficienze e violazioni del sistema elettorale nazionale.
I principali attori sono quattro ampie reti di organizzazioni – SHAMS, Tammuz, Hamurabi, Ayen – collegate in una coalizione unificata e supportate da due reti della società civile regionali, l’Arab Network for Democratic Elections (ANDE)e l’Arab Region Monitoring Elections (EMAR); Ad esse si aggiungono ulteriori organizzazioni singole, quali Peace and Freedom Organization (PFO) e Tawasoul,. Buona parte di tali organizzazioni sono impegnate non solo in vista del giorno delle elezioni, ma stanno da tempo effettuando rilevazioni, assegnando valore all’intero processo elettorale, dalla preparazione delle procedure, alla certificazione dei risultati. Essi producono dati e fonti di informazioni su fattori quali la nuova legge elettorale, le procedure di registrazione del voto, la tecnologia utilizzata, la trasparenza dei finanziamenti ai partiti, il sistema e i limiti della Commissione elettorale irachena (IHEC), le procedure di selezione dei partiti e dei candidati politici, lo svolgimento delle campagne elettorali e le procedure della corte federale, incaricata di certificare i risultati del voto.
Il ruolo della società civile irachena nel garantire la trasparenza e la democraticità del processo elettorale nella complessità del sistema politico iracheno, non è stato tuttavia sufficientemente riconosciuto e supportato, né dalle istituzioni nazionali, né da quelle internazionali, quali lo UNAMI. Oltre a faticare per registrarsi ufficialmente nel monitoraggio elettorale, ad ottenere colloqui ed informazioni in collegamento con la Commissione elettorale, esse si confrontano con il fatto che i finanziamenti nazionali e internazionali alla società civile irachena in vista delle elezioni si sono prevalentemente concentrati su sostenere iniziative di sensibilizzazione della popolazione, trascurando la rilevanza delle reti di monitoraggio civile. Maggiore considerazione gode invece il monitoraggio da parte delle delegazioni internazionali, la cui utilità, sebbene riconosciuta, è caratterizzata da alcuni limiti sostanziali evidenziati dalla società civile irachena, a partire dall’incapacità di agire nelle aree marginalizzate del territorio, e dunque anche più esposte a manipolazioni e violazioni; dall’essere focalizzato unicamente sul giorno del voto e non sulle procedure di preparazione; e dall’assenza di un efficace collegamento con altre reti di attori civili e istituzionali. A tale riguardo, la rete SHAMS prodotto un report sulle delegazioni internazionali, inclusive di una serie di raccomandazioni.