Iraqi Civil Society Solidarity Initiative

L'iniziativa internazionale in solidarietà alla società civile irachena mira, attraverso concreti legami di solidarietà tra la società civile irachena e quella internazionale, a creare un Iraq di pace e diritti umani per tutte e tutti

La situazione dei difensori dei diritti umani nell’Iraq post-elezioni

Negli ultimi anni, gli iracheni sono stati vittime delle tensioni politiche, economiche, sociali e settarie che il paese si è trovato ad affrontare. Con un bassissimo livello di rispetto dei diritti umani, secondo standard locali e internazionali, e in assenza di una legge sui diritti umani, decine di attivisti e difensori dei diritti umani sono quotidianamente vittime di torture e sparizioni in tutto il paese.

Vale la pena notare che i difensori dei diritti umani in Iraq lavorano individualmente e non in forma di gruppi o organizzazioni, quindi, sono facilmente raggiungibili da forze armate legali e illegali. Dal movimento di ottobre, la situazione per loro non è cambiata: stanno ancora facendo i conti con uno stato di panico e con la paura di un destino sconosciuto. I difensori dei diritti umani nell’Iraq centrale e meridionale vivono sotto minaccia e sono frequentemente oggetto di intimidazioni, alcuni di loro sono scomparsi, come l’attivista Sajjad Al-Iraq, o sono stati uccisi da ordigni esplosivi, bombe a mano e proiettili con silenziatori, di volta in volta per mano di gruppi armati ancora sconosciuti. Alcuni di loro hanno lasciato la città e si sono trasferiti nella regione del Kurdistan o fuori dall’Iraq, mentre coloro che sono rimasti vivono in una condizione di forte pressione e di repressione delle loro attività. Alcuni di loro sono anche oggetto di processi politici nei tribunali iracheni e sono costretti a fare dichiarazioni e presentare scuse pubbliche, mentre altri sono accusati e deferiti ai tribunali con una molteplicità di accuse, tra cui sabotaggio della proprietà pubblica, incitamento alla violenza, diffamazione e tradimento. Inoltre, più del 90% dei detenuti che sono stati rilasciati sono ancora perseguiti da cause legali, dal momento che sono liberi su cauzione o sono stati rilasciati senza assoluzione, come è previsto dalle legge, il che significa che le cause fabbricate contro di loro sono ancora in essere.

Il periodo post-elettorale rappresenta una continuazione di ciò che ha preceduto le elezioni, in termini di restrizione delle libertà di chiunque volesse criticare il governo o commentare lo svolgimento delle elezioni, sia sul campo che sui social media.

Nella regione del Kurdistan, il caso dell’arresto di attivisti e giornalisti di Badinan da parte delle forze di sicurezza, con l’accusa di aver incitato la popolazione a organizzare manifestazioni violente, ha visto una grande reazione sia a livello locale che internazionale. Dopo le elezioni irachene, l’8 novembre, Masoud Ali è stato condannato a tre anni di reclusione e Shirwan Taha a due anni e sei mesi. Il 19 ottobre, Omeed Broshki è stato condannato a tre anni e mezzo di reclusione. Durante il processo, gli imputati hanno negato tutte le accuse contro di loro; i loro avvocati hanno parlato di gravi problemi e violazioni dei diritti umani durante l’indagine e il processo.

Noi, come difensori dei diritti umani in Iraq, siamo solidali con tutti i detenuti di Badinan e le loro famiglie. Sosteniamo la legalità di partecipare e organizzare manifestazioni pacifiche, in accordo con la legge della Regione del Kurdistan, e speriamo che i tribunali mantengano la loro indipendenza per garantire la libertà di espressione nella regione.

Con riferimento a ciò che è successo nella Regione del Kurdistan, dove a un movimento di protesta di massa, scaturito dalla mobilitazione di studenti, le autorità hanno risposto con metodi violenti, similmente a quanto accaduto nella Rivolta di ottobre, appare evidente che la repressione sia diventata un modus operandi condiviso dalle autorità, siano esse del Kurdistan o dell’Iraq federale. Così i manifestanti sono regolarmente esposti a violenza eccessiva da parte dei servizi di sicurezza, oltre che vittime di arresti, sparizioni forzate e minacce, tutti indicatori che sono fonte di preoccupazione. Perciò, chi si rifugia nella regione del Kurdistan per sfuggire alla brutalità del governo del centro e nel sud del paese non è veramente al sicuro dal pericolo dell’autorità quando si mobilita per la difesa dei diritti umani.

I metodi brutali e repressivi della polizia non si limitano a un governo soltanto.

Nel corso di un difficile processo politico, nessuna forma di stato chiara è stata prodotta fino alla preparazione di questo rapporto. Il mancato rispetto degli standard democratici nazionali e dei diritti dei cittadini è diventato una malattia cronica, i cui sintomi sono la soppressione delle libertà e la presa di mira degli attivisti in tutti i settori della società civile, specialmente i difensori dei diritti umani. Le richieste dei manifestanti di ottobre e gli obiettivi per cui questi sono scesi in piazza – e per cui molti si sono sacrificati – sono stati aggirati. Il governo ha promulgato una legge elettorale che ha approfondito le divisioni interne e si è mossa con essa, acuendo il settarismo politico e la frammentazione regionale e tribale, limitando ulteriormente la libertà di scelta dei cittadini. Il conflitto ha preso una nuova piega in seguito ai risultati delle elezioni e a causa degli effetti imprevisti della nuove legge elettorale, come dimostrano i dati sull’affluenza, che è stata inferiore al 25% del totale degli aventi diritto al voto. Il 50% degli elettori ha infatti deciso di boicottare le elezioni, mentre un altro 25% si è astenuto perché non convinto che le elezioni rispondessero al cambiamento richiesto dalla mobilitazione di massa. Nel frattempo sono emerse molte divisioni politiche, e con esse molti conflitti per la spartizione del potere e per l’ottenimento del monopolio – anche della violenza – da parte dei diversi partiti. Questi si sono trasformati in vere e proprie dittature nelle rispettive aree di influenza, attraverso:

  • L’arresto di chiunque esprima pubblicamente un’opinione critica o contrastante a quella dei partiti, sui social media;
  • Le uccisioni di attivisti in tutto il paese;
  • Le proteste delle forze che sono uscite perdenti dalle elezioni, che hanno occupato per oltre due mesi zone sensibili di Baghdad e altre province irachene, costituendo la ragione per imbracciare le armi;
  • Il dominio indiretto, in tutti i governatorati, delle milizie affiliate ai partiti sulle decisioni politiche ed economiche;
  • L’uso delle agenzie di stato e delle istituzioni per gli interessi di queste forze, a dispetto dell’interesse pubblico.

Sulla base di quanto detto finora, chiunque discuta, esprima o pubblichi una richiesta o la rivendicazione di un diritto diventa un bersaglio e un nemico di queste forze e dei loro apparati, siano essi di governo o para-statali. Per questo motivo i difensori dei diritti umani sono impegnati nella ricerca di nuovi modi, da un lato, per sostenere le voci dissenzienti e per promuovere la difesa dei diritti di tutti i cittadini iracheni, dall’altra, per proteggere se stessi e le proprie famiglie.

La libertà propagandata dalle autorità non è che uno specchietto per le allodole per mostrarsi agli occhi del mondo come difensori dei diritti umani, mentre, nei fatti, le prigioni sono piene di cittadini e attivisti della società civile dissenzienti e i casi di sparizioni forzate e uccisioni sono una drammatica realtà.

Le sfide che i difensori dei diritti umani devono affrontare sono sempre le stesse: subiscono ancora severe restrizioni alla propria libertà e non possono divulgare casi di violazione dei diritti umani. Inoltre, i risultati delle elezioni indicano che nei prossimi quattro anni non ci saranno miglioramenti, dal momento che i partiti islamisti, forti delle proprie milizie, hanno nuovamente conquistato la maggioranza dei seggi in parlamento, il che non promette nulla di buono per il futuro dei difensori dei diritti umani.