Elezioni irachene: affluenza al 41%
Baghdad, 10 ottobre (Reuters) – L’affluenza alle elezioni parlamentari di domenica si attesta al 41%, ha dichiarato la Commissione elettorale, segno della scarsa fiducia negli esponenti politici, nonostante la partecipazione non sia stata bassa quanto avevano temuto inizialmente i funzionari elettorali.
Il risultato non costituirà un cambiamento radicale per l’equilibrio di poteri in Iraq o in generale in Medio Oriente, come affermano funzionari iracheni, diplomatici stranieri e analisti, ma per gli iracheni potrebbe significare che un islamista conservatore, precedentemente leader delle proteste, potrebbe aumentare il proprio peso nel governo.
L’affluenza alle elezioni del 2018 era stata del 44,5%, mentre la Commissione elettorale lunedì mattina ha dichiarato che il tasso di affluenza più basso è stato registrato a Baghdad, dove oscilla tra il 31 e il 34%.
Le elezioni in Iraq sono spesso seguite da lunghi negoziati per la scelta del presidente, del primo ministro e del governo, secondo le linee del sistema democratico introdotto dopo l’invasione del 2003 a guida statunitense.
Le elezioni si sono tenute con molti mesi di anticipo e sono state regolate da una nuova legge elettorale pensata per sostenere i candidati indipendenti, come risposta alle proteste anti-governative scoppiate in tutto il paese due anni fa.
Influenze straniere
Gli Stati Uniti, gli Stati del Golfo e Israele da una parte, e l’Iran dall’altra fanno a gara per imporre la propria influenza sull’Iraq, paese strategico per Teheran perché gli garantisce un passaggio sicuro per sostenere gli alleati armati in Siria e Libano.
L’invasione del 2003 ha rovesciato Saddam Hussein, musulmano sunnita, e catapultato al potere la maggioranza sciita e curda, fino ad allora oppressa dalla dittatura, scatenando una violenza settaria durata anni, tra cui anche la conquista di oltre un terzo del paese da parte dello Stato Islamico tra il 2014 e il 2017.
La capo-osservatrice della delegazione di monitoraggio dell’Unione europea, Viola von Cramon, ha detto che l’affluenza relativamente bassa è un dato significativo.
“Questo è un segnale chiaro, e chiaramente politico. Non possiamo che sperare che verrà ascoltato dai politici e dall’élite politica irachena” ha detto ai giornalisti.
Nonostante tutto, alcuni iracheni erano fortemente intenzionati a votare per le quinte elezioni parlamentari dal 2003, e sperano in un cambiamento. A Kirkuk, una città nel nord, Abu Abdallah ha detto di essere arrivato al seggio un’ora prima dell’apertura.
“Ci aspettiamo che la situazioni migliori drasticamente” ha detto.
Il primo ministro, Mustafa al-Kadhimi, non partecipa alle elezioni, ma potrebbe ottenere un secondo mandato, dopo le trattative post-elettorali. Kadhimi, che è percepito come filo-occidentale, non ha un partito a sostenerlo.
Nella regione del Kurdistan sono due i maggiori partiti curdi, mentre i sunniti questa volta hanno due blocchi principali.
L’Iraq è un paese più sicuro rispetto ad anni fa e le violenze settarie sono meno frequenti da quando l’Iraq ha sconfitto il gruppo estremista sunnita dello Stato islamico con l’aiuto di una coalizione militare internazionale e dell’Iran nel 2017, ma la corruzione e la cattiva gestione delle risorse pubbliche hanno significato, per molti dei 40 milioni di iracheni, mancanza di posti di lavoro, di un sistema sanitario ed educativo e di servizi di base, come l’elettricità.
Secondo l’analista politico Ahmed Younis, basato a Baghdad, molti iracheni considerano il sistema di governo post-Saddam, basato sulla spartizione del potere su linee confessionali, un fallimento. La corruzione fortemente radicata nel paese e il crescente potere delle milizie armate, che agiscono in modo incontrollato, hanno alimentato la disillusione di iracheni e irachene.
“Il boicottaggio alla fine sarà inevitabile ed è quello che abbiamo visto nelle elezioni di oggi” ha detto Younis.
Almeno 167 partiti e più di 3200 candidati competono per i 329 posti in Parlamento, secondo la commissione elettorale.